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Ora tocca a loro. Domani a noi

Francia. Fra sei settimane si vota per le elezioni presidenziali: una miriade i candidati. Dai sondaggi, la corsa per il primo turno sembra essere già stata ridotta a due blocchi, centrodestra e sinistra: UMP e PS. E cioè Sarkozy e Hollande. Dietro di loro una moltitudine di figure che hanno tenuto testa ai principali schieramenti nazionali. Il FN (Front National, con Jean-Marie Lepen) sino a due mesi fa era in vantaggio sul partito del presidente uscente (Union pour un Mouvement Populaire). Il dato è sintomatico: anche in Francia c’è malessere. Per questo l’estrema destra conduce una campagna elettorale fondata sulla demonizzazione dello straniero. Democraticamente questi toni di insofferenza sono rivolti anche agli altri cittadini europei, considerati concausa della crisi economica francese. E fra i primi punti del programma indicano la chiusura delle frontiere e il recesso del patto di Schengen.

Il candidato del Partito Socialista, François Hollande, incentra la propria campagna sul cambiamento; lo slogan, di obamiana memoria, recita “ Le changement c’est maintenant”. Inevitabilmente si susseguono promesse che in primis vorrebbero rimarginare le ferite aperte da una presidenza accusata di aver smantellato lo stato sociale, alimentato il divario fra i diversi ceti e concesso dei privilegi senza precedenti nella storia repubblicana alle fasce più ricche (e potenti).

Nicolas Sarkozy ha, con ritardo, sciolto le riserve sulla sua candidatura, e per questo ora cerca di recuperare in ogni modo ed occasione il distacco dal candidato della gauche. La sua campagna fa leva sulla “France forte”: è intrisa di nazionalismo e scandita da discorsi poco sfumati. In breve tempo, grazie ad un eloquio muscolare, Sarkozy ha risalito la china e ripreso un elettorato che preannunciava un voto radicale, a destra. Con ripetute boutades insultanti, le elezioni assumono toni sempre più aspri. Si cerca di scaricare le responsabilità della crescente disoccupazione e al contempo infangare l’immagine degli avversari. Vedi il caso Strauss-Kahn.

Fra i candidati più rumorosi riporto il nome di Jean-Luc Mélenchon, candidato all’Eliseo per il Front de la Gauche. Mai sopra le righe, nonostante i pochi mezzi a disposizione, incanta le folle con un’oratoria magnetica. Ricorda Nichi Vendola per il garbo con cui espone il proprio programma.
A proposito di analogie, e di differenze:stride l’idea che viene proposta di una identità (in termini algebrici) fra PD italiano e PS francese. Il primo è un partito di centrosinistra, il secondo questo prefisso non ce l’ha e non lo cerca. Il primo è sovente succube di un bipolarismo deforme, complice un collante comune, l’ideale cattolico: amalgama che in Francia non è richiesto. Nel primo si fanno le primarie, e quando prevale un candidato inviso all’apparato scoppia un caso nazionale. Nel secondo, da quando le hanno scoperte hanno laicamente benedetto la possibilità di indicare il candidato (il celebrato Hollande) o il presidente del partito, attualmente Martine Aubry, sindaco di Lille. Un eventuale paragone fra quest’ultima e Rosy Bindi è avventato ma non improbabile. Confrontare le biografie per credere.

Proprio l’8 marzo, festa delle donne, dal palco di Reims (città amministrata da un sindaco donna: dopo quasi trent’anni di destra, come a Cagliari, anche nel capoluogo dello Champagne- Ardenne ha vinto la sinistra con Adeline Hazan), François Hollande ha annunciato una serie di riforme, volte a “Ricostruire una Francia che Combatte Insieme per tornare ad essere più Equa, più Giusta, più Laica, più Pubblica”.

In questo tema del cambiamento emergono una serie di interventi costituzionalmente discutibili. Non tanto per l’ipotetica reintroduzione del Ministero dei diritti della Donna, nato sotto la presidenza Mitterand, quanto perché, pare, voglia imporre una composizione al cinquanta per cento di donne e al cinquanta di uomini sia per quella che sarà la sua futura squadra di governo, sia per le liste elettorali, sia per i consigli di amministrazione delle imprese pubbliche. E’ questa una forma di discriminazione al contrario? E se non ci fossero uomini, ma solo donne capaci per il ruolo da ricoprire, o viceversa? Non sarebbe logico che ci fossero persone valide indipendentemente dal sesso? La realtà della società europea impone una riflessione più profonda a tutti i livelli.
Registro ripetute contraddizioni.

Sul concetto stesso di “Changement”: i socialisti, benché francesi, non intendono rifare la Rivoluzione, ma irrompe dal passato recente un morboso parallelismo fra Hollande e Mitterrand. I comici, nell’imitare l’attuale candidato, ripetono gestualità, cadenza, e vocabolario che rievocano di continuo l’ex presidente. Lo stesso Hollande, nei suoi comizi ripete più volte “riprendiamo quel filo che si è interrotto”, alludendo al periodo di presidenza socialista a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta. Peraltro, il candidato PS non ha mai ricoperto prima d’ora incarichi pubblici istituzionali: questa è vista come una debolezza da alcuni commentatori destroidi, e un pregio da chi prova disaffezione per la politica e cerca di incuriosirsi nuovamente all’idea che i politici non siano tutti uguali.

Né Hollande, né Sarkozy in questa campagna elettorale si concentrano abbastanza sulll’Europa; il PD sotto questo profilo appare assai più sensibile. Un patriottismo così radicato non sembra lasciare spazio sufficiente ad una dimensione politica sovranazionale ed europeista, ed è quantomeno bizzarro, visto che i sondaggi del Monsieur le President sono migliorati proprio in seguito alle visite del Cancelliere tedesco, che è anche leader della CDU, partito che siede negli stessi banchi dell’UMP al Parlamento europeo. Stupisce che solo Mélenchon, con parole di matrice francescana, abbia invitato alla fratellanza fra popoli, guardando prima di tutto all’Europa. Hollande, ha scelto di dislocare i suoi impegni elettorali in paesi tradizionalmente euroscettici, fra cui Inghilterra e Polonia. Perché accontentarsi?

Tutti i partiti, specie quelli più piccoli, ad esempio NPA, si reggono sulle spalle dei volontari, della “jeunesse”. Sono i militanti più agguerriti, ma sono pochi. La maggior parte dei giovani vive in uno stato di abulia; senza fame di riscatto sociale, accetta l’appellativo di “Generation HLM”, espressione derivante dalle abitazioni a canone moderato che lo Stato costruisce e concede ai ragazzi con meno di trent’anni, perseguendo un modello di housing sociale avente sempre più i tratti dell’assistenzialismo, che porta alla creazione di ghetti urbani e culturali e sempre meno consente l’interclassismo e la riqualificazione delle immense realtà periferiche. I giovani non combattono più, sebbene abbiano perso loro i diritti conquistati con decenni di lotte; ora che dovrebbero partecipare al cambiamento della loro terra mi rendo conto che ovunque siamo un po’ tutti minoranza.

La speranza ed il coraggio di rischiare vivono in un messaggio trasversale lasciato da un saggio francese, mai così attuale, mai così presente ed egalitario: “hommes, femmes, meme combat: le changement c’est maintenant”. E che si avveri. Speriamo sia solo l’inizio.

 

da Sardegna Democratica    14/03/2012